Il Federalismo, un valore da coltivare ogni giorno

Dal 1848 «unità nella diversità» è la formula vincente che fa da collante al nostro Stato federale. Prima ancora di caratterizzare la struttura della Confederazione, il federalismo è un pilastro culturale che regge il nostro modo di sentirci svizzeri e dà un’impronta inconfondibile alla nostra identità. La suddivisione del potere su tre livelli favorisce la prossimità delle istituzioni al territorio e il rispetto delle diversità linguistiche, geografiche, culturali e religiose che sono la cifra del mosaico elvetico. Intimamente connesso al federalismo, il principio di sussidiarietà gioca un ruolo essenziale nella ripartizione delle competenze tra Comuni, Cantoni e Confederazione, conferendo al livello superiore unicamente i compiti che quello inferiore non riesce ad assolvere o che necessitano di una regolamentazione unica. 

La promozione del pluralismo e il rispetto di questa eterogeneità sono possibili soltanto contrastando la tendenza alla centralizzazione spinta delle competenze legislative in capo alla Confederazione. La fiamma della coesione va alimentata valorizzando il decentramento. Questa cultura della «Vielfältigkeit», come direbbero a nord del San Gottardo, ha garantito stabilità e pace allo Stato svizzero e ne ha rafforzato l’affidabilità nel tempo. Mi ci riconosco pienamente e ne sono un praticante convinto. 

Ancorché sempre ancora molto popolare, il federalismo è però messo sempre più sotto pressione dalla prassi politica. Anzi, possiamo parlare di una graduale erosione e scompaginazione dei suoi complessi e delicati equilibri, i famosi pesi e contrappesi («checks and balances»). Pullulano infatti mozioni, iniziative parlamentari e popolari che mirano ad attribuire alla Confederazione sempre più compiti o a disciplinare in modo unitario per l’intero territorio svizzero aspetti delle attività economiche che invece andrebbero riservati alla regolamentazione cantonale. Ciò impedisce di tener conto in modo adeguato delle esigenze e specificità regionali, come per esempio è stato il caso con l’iniziativa popolare sulle residenze secondarie (Lex Weber), che fa espiare i peccati delle mete turistiche vallesane ed engadinesi – con i loro errori pianificatori ed edilizi – anche ai Comuni delle valli ticinesi. Se poi pensiamo alla recente iniziativa popolare «contro la dispersione degli insediamenti», ideata in ambienti iperurbanizzati, la sua accettazione avrebbe costituito un ulteriore corsetto legislativo per le regioni alpine svizzere.

Il federalismo non è dato una volta per sempre: va coltivato giorno dopo giorno, benché non sia un modello immutabile, bensì un assetto di regole e di equilibri modificabili nel tempo. Il Governo, il Parlamento, l’amministrazione pubblica, ma anche le forze politiche devono esserne consapevoli e agire nel rispetto del principio di sussidiarietà, senza cedere a tentazioni centraliste contrarie allo spirito federalista. In uno Stato davvero liberale va praticato quotidianamente il principio della responsabilità: Cantoni e Comuni non solo la esigono, la meritano. A fronte di determinate spinte centripete, i Cantoni fanno bene a proteggersi e a collaborare tra di loro, come avviene tramite le Conferenze cantonali dei direttori dipartimentali, le cui prese di posizione mi sono sempre molto preziose per compiere la scelta giusta. L’aderenza della politica federale alle realtà regionali – senza comunque mai perdere di vista l’interesse generale – è per altro un efficace antidoto alla crisi della rappresentanza politica che colpisce molti paesi centralisti, come la Francia o l’Italia, e che sta lentamente contagiando anche il nostro.

L’evoluzione del federalismo dovrebbe considerare anche l’emergere di una certa asimmetria: la diversità di dimensioni e di risorse tra Comuni e tra Cantoni può infatti giustificare l’assunzione variabile di determinate competenze. A tal proposito potrebbe essere utile un approccio maggiormente flessibile per affrontare in maniera nuova e pragmatica riforme istituzionali come le aggregazioni o la revisione dei flussi finanziari e delle competenze. Si tratta di riflessioni tutt’altro che estranee alla realtà ticinese, e che potrebbero condurre a soluzioni più virtuose rispetto a competenze sempre meno decentralizzate. E sempre meno svizzere.

Giovanni Merlini, Consigliere nazionale e candidato al Consiglio degli Stati, Corriere del Ticino, 26 ottobre 2019