Parigi val bene una messa

Con l’accordo di Parigi, che potremmo definire come un ponte tra le politiche odierne e la neutralità rispetto al clima e che si pone l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° (oggi si chiede di non superare 1.5°), la Svizzera ha ulteriormente deciso di riconoscere l’importanza di scongiurare, minimizzare e affrontare le perdite e i danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici.

Certo, si potrebbe semplicemente dire che in fondo noi svizzeri tanto male non siamo, che tra il 1990 e il 2016 le emissioni di CO2 nel settore degli edifici erano scese del 23%, quelle riguardanti il settore industriale del 17% e quelle relative al settore agricolo dell’11%, mentre a livello di settore dei trasporti l’aumento è stato contenuto in poco più di un paio di punti percentuali (nonostante l’importante crescita in termini di aumento del traffico). Potremmo pure asserire che, tutto sommato, noi svizzeri rappresentiamo un’inezia in termini di emissioni di CO2 se rapportati al resto del globo, che i problemi stanno altrove e che è inutile guardare al topolino dimenticandosi l’elefante. Insomma, potremmo cullarci nell’illusione che basta quanto già si fa, senza dar troppa attenzione al principio di precauzione, che ci chiede una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse, il tutto per salvaguardare l’ambiente ed evitare effetti negativi sullo stesso.

Tra il 1990 e il 2016 la popolazione svizzera è però aumentata del 25% (oggi supera gli 8.5 milioni e si prevede che nel 2040 potrebbe anche raggiungere i 10 milioni), sempre nello stesso periodo il traffico motorizzato privato è aumentato del 53%, la superficie abitabile del 39% e la produzione industriale del 61%. Secondo le previsioni nel 2040 si dovrebbe verificare un aumento percentuale nella domanda di trasporto pubblico del 52% rispetto al 2010, mentre di quello motorizzato privato del 18%. Fino al 2030 e per far fronte al fabbisogno in infrastruttura stradale nazionale dovremo investire qualche cosa come 42 miliardi di franchi, mentre per l’infrastruttura ferroviaria ben 84 miliardi, questo allo scopo di evitare il congestionamento delle nostre strutture di trasporto.

Semplici dati e previsioni, che non vanno drammatizzati ma nemmeno banalizzati, e che ci dicono quanto le nostre attività impattano sull’ambiente.

Lo ammetto, non mi considero un politico “di verde vestito” e non è certamente mia intenzione cambiarmi d’abito. Tra l’altro, il mio abito partitico mi è sempre calzato e lo considero adeguato anche per trovare le giuste misure e i sani compromessi allo scopo di fare andare a braccetto economia, ecologia e società, sfida non sempre scontata.

La questione è insomma un’altra e meglio quella di riconoscere la valenza e la centralità della tematica ambientale per la politica tutta, perché riguarda il nostro futuro, tanto che nessun Partito che pretende di proporre una visione globale della nostra società può sfuggire dalla stessa.

Per questo ritengo che il compromesso raggiunto a metà agosto nella Commissione dell’ambiente, della pianificazione, del territorio e dell’energia del Consiglio degli Stati sulla revisione della legge sul CO2 (in questi giorni in discussione alla Camera Alta), che prevede anche una moderata tassa d’incentivazione sia sui biglietti aerei che sulla benzina, il tutto con l’obiettivo di modificare i nostri comportamenti e senza fini fiscali (tasse che per un liberale non sono mai di facilissima digestione), sia un passo nella giusta direzione.

Insomma e come direbbe Enrico IV, Parigi – in questo caso il suo accordo – val bene una messa, o, se volete, uno scopo alto giustifica qualche sacrificio.

Stefano Steiger, candidato al Consiglio nazionale, LaRegione, 26 settembre 2019