Il regalo che vorrei... - L'editoriale del 21 dicembre

Caro Gesù Bambino,
Non voglio un regalo fabbricato in un’industria cinese. Non perché io speri, come Trump, di riportare quei posti da lavoro da noi: avremmo bisogno dei Messicani per occuparli, visto che chi è nato in Europa, piuttosto della catena di montaggio, vuole il reddito di nulla facente.

Caro Gesù Bambino,
Non voglio un regalo fabbricato in un’industria cinese. Non perché io speri, come Trump, di riportare quei posti da lavoro da noi: avremmo bisogno dei Messicani per occuparli, visto che chi è nato in Europa, piuttosto della catena di montaggio, vuole il reddito di nulla facente. Mi piacerebbe invece un giocattolo fatto da un artigiano, con materiale riciclato e riciclabile. Meglio se l’artigiano è indigeno: il Prima i Nostri è un principio etico condivisibile, finché non diventa strumento illiberale di caccia alle streghe e di eccessi burocratici a vuoto, tipo LIA. Ma non ho preclusioni se il giocattolo è fatto da artigiani indigeni d’altre parti del mondo. Meglio aiutarli così che mandare loro esperti di aiuto allo sviluppo, con i loro precetti di sinistra che non funzionano. Ma il regalo che più vorrei non è materiale e non è per me solo. Vorrei che la gente pensasse più con la testa che con la pancia. Non che la pancia non sia importate: prima il cibo e poi la morale (Brecht). Ma una società che soffre più di obesità che di inedia, affamata semmai di opportunità di ascesa sociale, non dovrebbe farsi incantare dalle sirene che solleticano le pance con l’invidia e le paure. L’invidia verso chi si dà da fare e ha perciò successo. Le paure del diverso, della concorrenza, del mondo che cambia. Come se il nostro benessere non fosse dovuto ad antenati che si sono dati da fare, si sono esposti al mondo, anche migrando. Che hanno avuto fiducia in sé, non nel Salvini di turno. Scusami se chiedo tanto.
Mauro Dell'Ambrogio