Dati bancari raggruppati: un giusto no alla Francia

Dopo aver letto la recente sentenza del Tribunale amministrativo federale (A-1488/2018), che annulla la decisione dell’Amministrazione federale delle contribuzioni di dare seguito positivamente alla richiesta di assistenza raggruppata della Francia in relazione a conti bancari detenuti da contribuenti francesi presso una banca svizzera sospettati di non essere fiscalmente conformi, invero senza prove concrete ma sulla sola base di un’ipotesi statistica, ho tirato un sospiro di sollievo. Mi rallegro innanzitutto del fatto che il Tribunale amministrativo federale abbia avuto il coraggio di applicare i termini della giurisprudenza della massima istanza federale con sapiente sensibilità e pragmatismo e respingere quindi al mittente una richiesta - giudicata sproporzionata e non sufficientemente sostanziata - di provenienza francese, che si inserisce nel solco della pressione internazionale esercitata sulla nostra nazione, più o meno velatamente e più o meno in modo aggressivo, che vede gli Stati che ci circondano (e qualche volta anche qualcuno più lontano) approfittare dello zelo e della solerzia elvetici al meglio grazie al contributo delle nostre autorità e dei nostri operatori finanziari, per rimpolpare le loro casse statali, svuotatesi a seguito dell’incapacità di far rispettare le loro leggi fiscali dai loro contribuenti.

È impressa nella memoria recente di tutti, soprattutto nel mondo bancario e fiduciario, l’immane mole di lavoro messa in atto per permettere ai cittadini italiani, e poi a quelli di altri Stati, di aderire ai provvedimenti di rimpatrio agevolato (voluntary disclosure e dintorni). Mole di lavoro immane con relativi costi esorbitanti per rendere un servizio ad altri, perché sostanzialmente si trattava di predisporre quanto necessario per rimpatriare gli averi dei clienti nel loro Paese e quindi una mole di lavoro con i relativi costi fini a sé stessi, senza alcun ritorno vero e duraturo in termini di produttività pro futuro per la nostra piazza. Vero invece il contrario per gli altri Stati, che nell’ambito dei loro provvedimenti straordinari hanno inserito termini, condizioni e modalità di rimpatrio che creassero lavoro per professionisti, istituti bancari e fiduciari del Paese di rimpatrio e a lungo termine. Questo tipo di modalità non risulta invero differente, nella sua finalità, dalla guerra dei dazi protezionistica tanto criticata e condannata messa in opera dichiaratamente dal presidente Trump.

Chi non ricorda la calata di professionisti d’oltre confine nell’ambito della fase preparatoria delle pratiche di voluntary disclosure? Sono rimasti per mesi in pianta stabile sul territorio cantonale (e fors’anche nazionale) a spulciare carte e predisporre relazioni di adesione, e ovviamente il tutto senza che fossero rispettati i requisiti del distacco di personale, con la conseguente perdita per il nostro Stato in termini di potenziale gettito fiscale generato sul territorio cantonale e il mancato ossequio delle norme antidumping. Nessuno si è scandalizzato o si è posto quesiti per sapere se questi professionisti avessero operato le necessarie notifiche per espletare attività professionali sul territorio, tutti però gridano allo scandalo per i padroncini sui cantieri e i possibili abusi in altri settori. Non vedo differenza tra queste situazioni, se non i colletti bianchi rispetto ai panni di lavoro da cantiere. Non dico che si debbano mettere in atto misure analoghe, non è con questi palliativi che si genera un sistema produttivo virtuoso, ma senz’altro è bene riconoscerli e non piegarsi passivamente al gioco dettato dagli altri.

La stessa dinamica sembra stagliarsi all’orizzonte su altri temi finanziari: l’estensione della voluntary per gli averi conservati in cassette di sicurezza, l’equivalenza della Borsa svizzera, la necessità di aprire succursali all’estero per le nostre banche e gli operatori finanziari, l’attrazione fiscale all’estero di attività tipicamente svolte su suolo elvetico e, ahimè, potrei continuare. Innanzitutto è necessario essere consapevoli e quindi reagire almeno evitando di peccare di eccesso di zelo. In questi termini, speriamo che l’Amministrazione federale delle contribuzioni sappia comprendere la decisione del Tribunale amministrativo federale, almeno evitando ulteriori impugnative al servizio gratuito (anzi, oneroso) degli Stati esteri.

Karin Valenzano Rossi, vicepresidente PLRT

Corriere del Ticino, 22 agosto 2018