Sulla libera circolazione evitiamo una "Suissexit"

La radioattività che si registra attorno al tema della libera circolazione delle persone è sempre piuttosto alta e in Ticino il relativo accordo (ALC) è considerato da molti come una scoria da eliminare. Rimango tuttavia fermamente persuaso che la disdetta dell’ALC non renderebbe affatto un servizio al nostro Paese, alla sua capacità innovativa e alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Gli effetti dell’ALC sull’economia svizzera dal 2002 ad oggi sono stati complessivamente vantaggiosi. Diversi studi riconoscono che l’ALC è il più importante tra i cinque Accordi bilaterali I, tra loro indissolubilmente legati dalla clausola-ghigliottina. È il più importante perché consente alle nostre imprese - non solo alle grandi, ma anche alle medio-piccole - di disporre in modo flessibile di mano d’opera qualificata, individuando quegli specialisti che spesso mancano tra i residenti (il 54% dei lavoratori immigrati dall’area UE/AELS ha una formazione terziaria, rispetto al 39% degli svizzeri). Ciò consente di rafforzare la competitività internazionale dell’economia elvetica, incrementandone il valore aggiunto. Nelle regioni di frontiera come il Ticino si sono tuttavia prodotte, a partire dalla crisi del 2008, dinamiche indesiderate innescate dalla crisi occupazionale nella vicina Lombardia. Anche in questo caso diverse ricerche scientifiche hanno documentato tendenze da combattere puntualmente. In primo luogo, la pressione al ribasso dei salari e la precarizzazione di alcune forme di contratti di lavoro. In secondo luogo, il rischio di sottooccupazione (più che di disoccupazione, che è rimasta invece stabile in tutta la Svizzera, Ticino compreso) per le lavoratrici e i lavoratori meno formati, così come la difficoltà per gli ultracinquantenni di restare inseriti nel mercato del lavoro, specialmente nel terziario.

Di fronte a questi problemi la politica si è attivata su più fronti. Il Ticino è il cantone svizzero dove si esegue – in assoluto – il maggior numero di controlli sulle aziende e nell’ultimo quadriennio il DFE ha definito ulteriori 8 misure nell’ambito della sorveglianza del mercato del lavoro. Non mancano nemmeno iniziative che mirano alla formazione, all’occupazione e al sostegno alle imprese. A livello nazionale, il Consiglio federale ha recentemente varato un pacchetto di misure per promuovere meglio il potenziale della manodopera residente, rafforzando in particolare le competenze dei lavoratori più anziani e garantendo le prestazioni a copertura del fabbisogno vitale fino al pensionamento degli ultrasessantenni che hanno esaurito le indennità di disoccupazione. Sono altrettanto importanti le misure che migliorano il reinserimento professionale e le regole per attuare la preferenza indigena in quei settori in cui il tasso disoccupazione supera l’8%.

Negli scorsi anni a Berna ho sempre sostenuto le misure accompagnatorie alla libera circolazione per correggere le distorsioni del mercato del lavoro nel nostro cantone, impegnandomi a sensibilizzare i colleghi d’Oltralpe, che vivono realtà molto eterogenee in cui l’ALC non è certo percepito come l’origine di tutti i mali, anzi. 

Gli effetti problematici della libera circolazione vanno affrontati settore per settore, tenendo conto delle specificità regionali, e non già con una controproducente disdetta dell’ALC che danneggerebbe l’economia nazionale e locale. Una disdetta metterebbe sciaguratamente a repentaglio la via bilaterale, confermata ben tre volte dal popolo svizzero: è la via maestra che dobbiamo riuscire a consolidare perché ci consente un accesso quasi illimitato e senza discriminazioni al mercato interno europeo con oltre mezzo miliardo di consumatori. Inoltre un abbandono della libera circolazione pregiudicherebbe definitivamente la conclusione di ulteriori accordi bilaterali essenziali con l’UE, come quello elettrico e quelli relativi alle attrezzature mediche e al settore agroalimentare, per non parlare dell’associazione del nostro Paese ad una serie di importanti programmi europei di ricerca e sviluppo, come Horizon 2020. 

La fine della via bilaterale condannerebbe la Svizzera ad un isolamento deleterio sotto tutti gli aspetti. Una Willensnation come la nostra si distingue per la volontà di plasmare il proprio avvenire e non per la paura di affrontarlo.

Giovanni Merlini, Consigliere nazionale e candidato al Consiglio degli Stati, Corriere del Ticino, 3 ottobre 2019