Sistema di abilitazione all’insegnamento: alcune ipotesi di lavoro

MOZIONE

La missione del DFA è la formazione di base e continua dei docenti della scuola dell’obbligo e delle scuole di maturità. Inoltre, si occupa anche di ricerca, sviluppo e divulgazione in campo educativo e formativo. Queste attività sono svolte su mandato del DECS, in collaborazione con la Divisione della scuola, partner e altri istituti.

Come si evince dal sito ufficiale del DFA, le attività sono dunque le seguenti:

  • la formazione iniziale delle docenti e dei docenti della scuola dell’infanzia e della scuola elementare e la formazione didattico-pedagogica di docenti della scuola speciale, della scuola media e delle scuole di maturità;
  • la formazione continua per docenti di ogni ordine e grado;
  • attività di ricerca, sviluppo, servizio e consulenza in ambito educativo e formativo;
  • promozione e realizzazione di eventi, risorse didattiche e pubblicazioni scientifiche e culturali rivolte al corpo docente, agli allievi e alle allieve, alle famiglie e ad altre persone interessate.

La recente problematica sollevata in merito ai 13 docenti di italiano è nata dalla costatazione che questi, malgrado le rassicurazioni iniziali del Dipartimento, non avranno alcuno sbocco. Una situazione sorprendente e anche clamorosa, se pensiamo alla presa di posizione sottoscritta da altri 62 insegnanti di italiano, storia e inglese. In sintesi, mal comprendono come mai il DFA abbia proposto la formazione per l’italiano quando, di fatto, le ore di insegnamento fossero molto limitate, tanto da condannare i nuovi abilitati a una situazione occupazionale precaria. E ciò vale non solo per l’italiano, ma anche per storia ad esempio.

Sono sollevate mancanze in termini di trasparenza, di trattazione delle supplenze, graduatorie nei concorsi, oltre alla citata mancanza di rapporto tra formazione e realtà territoriale, quindi del rapporto tra domanda e offerta. Un’odissea abilitativa che nuoce anche all’attrattiva della professione di docente.

Ad ogni modo, il problema che si è creato per i docenti di italiano (o per altri docenti di altre discipline) va ricercato sia nell’impostazione dell’abilitazione sia nella capacità di svolgere previsioni accurate riguardanti ilfabbisogno di docenti per le diverse discipline nelle scuole ticinesi. Il Dipartimento – nella definizione del probabile fabbisogno - dovrebbe considerare anche la presenza nei concorsi di potenziali candidati già abilitati fuori Cantone o con riconoscimento CDPE.

Come sottolineato dalla Consigliera di Stato Marina Carobbio nell’ultima seduta di Gran Consiglio del 14 aprile 2025 in risposta all’Interpellanza 2531: “Abilitazione e precarietà nella scuola. Necessario un programma di misure urgenti per creare occupazione e migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento”, siamo ben consapevoli che le misure di risparmio previste dal Preventivo 2025, frutto anche di decisioni politiche approvate democraticamente da popolo e Gran Consiglio, impongono all’amministrazione cantonale sforzi non indifferenti. In questo contesto, riteniamo importante sottolineare che ogni tentativo è stato fatto per limitare il più possibile l’impatto diretto sulle attività scolastiche. Tuttavia, siamo coscienti che alcune misure potranno condurre a una riorganizzazione di servizi – come l’orientamento scolastico e professionale – mentre altre, per quanto impopolari, si rendono necessarie per il rispetto degli equilibri finanziari. È quindi fondamentale che il Consiglio di Stato vigili con attenzione sull’evoluzione della situazione e ne valuti costantemente gli effetti concreti sul sistema scolastico.

Vi è inoltre consapevolezza che l’obiettivo non è “creare occupazione” in modo fine a sé stessa, ma offrire servizi di qualità in modo compatibile con le risorse. Se ciò comporta, sussidiariamente, anche la creazione di posti di lavoro qualificati, è da considerarsi un esito positivo.

Tuttavia, è giunto il momento di porre una questione centrale, visti gli elementi critici, latenti ma assai presenti, che si protraggono negli anni: il DFA così com’è diventato oggi, risponde davvero alle esigenze della scuola ticinese? La qualità formativa è ritenuta efficace? Una riflessione che deve condurre a un ripensamento concreto dell’attuale sistema abilitativo, soprattutto per l’insegnamento medio e medio superiore di questo Cantone.

Si pongono 3 temi d’impostazione generale, nonché strutturali, su cui è indispensabile chinarsi e fornire una risposta.

1. Concetto abilitativo attuale

La trasformazione a tutti gli effetti nel 2009 del DFA in una istituzione formativa, obbligatoria e vincolante, è ben diversa da quanto avviene in ambito professionale (e a quanto avveniva  in passato anche per il settore medio e medio superiore).

La struttura formativa è consona e non viene messa in discussione per quanto concerne i percorsi di formazione/abilitazione per i docenti di scuola dell’infanzia e delle scuole elementari, che entrano in formazione con il conseguimento di una maturità liceale, ma per il settore medio e medio superiore occorre maggiore flessibilità. Infatti, per i docenti delle scuole dell’infanzia ed elementare  è un percorso che prevede ed accompagna la formazione di giovani studenti al termine dalla loro formazione liceale, costituendosi come percorso per l’acquisizione di un diploma universitario professionale orientato alla formazione di docente (Bachelor). Il sistema dovrebbe però essere ripensato per coloro che hanno conseguito un diploma universitario di primo livello (bachelor) o di secondo (master) nella/e discipline postulate per l’insegnamento. Occorre evitare di rallentare sensibilmente l’entrata dei giovani laureati nel mondo del lavoro.

Siamo consapevoli che non esiste in Svizzera un sistema di abilitazione "in itinere" (cioè assunzione prima, abilitazione dopo), ma si potrebbe valutare con cautela per il settore medio  - in una situazione d’emergenza - anche un modello cantonale, a tempo parziale e con validità limitata, da impostare secondo criteri compatibili con l'art. 47a della Legge della scuola.

Vero, il percorso prevede momenti e ore d’insegnamento accompagnate da un docente/formatore. Tuttavia, non si prevede da subito un’assunzione di responsabilità individuale quale insegnante vero e proprio con una attività di docenza “libera” o autonoma; ciò pone diversi interrogativi molto critici da più parti e da coloro che hanno vissuto in primis il percorso abilitativo. Insomma, il sistema attuale non concede a giovani laureati (conun Bachelor e un Master nella loro disciplina d’insegnamento) la libertà di misurarsi a tutto campo nel ruolo di docente.

Infatti, i concorsi cantonali richiedono obbligatoriamente ai concorrenti il possesso di un titolo abilitante all’insegnamento rilasciato o riconosciuto dalla CDPE. Per il settore medio già si può accedere   con il solo bachelor, seguito da una formazione abilitante di livello master presso il DFA.

Oggi l’accompagnamento è iper-strutturato. Tuttavia, il sistema che ha preso forma è divenuto rigido, demotivante e pure illusorio, poiché – sebbene non garantisca posti d’insegnamento al termine dell’abilitazione (anche comprensibilmente) – non è mai stata smentita la logica per cui chi entra in abilitazione, avrebbe la possibilità di iniziare la sua carriera di docente.

2. Nessuna differenziazione, nel settore medio,  tra chi ha conseguito un Bachelor e chi un Master

Oggi, quando si postula un diploma d’insegnamento, non v’è una differenziazione dei requisiti richiesti tra chi ha conseguito, per il settore medio, un Bachelor e chi un Master.

Se da un lato è comprensibile per una serie di competenze base orientate a nozioni di tipo pedagogico-didattiche e di strutturazione e organizzazione dell’insegnamento, dall’altro riduce la valorizzazione del diploma disciplinare universitario conseguito e stride con la logica che vorrebbe i nostri giovani entrare il prima possibile nel mondo del lavoro.

Non si dispongono di dati quantitativi in applicazione dei criteri di selezione adottati dal DFA per le ammissioni all’abilitazione per il settore medio, ma è molto probabile che la percentuale di ammissione dei portatori di un solo Bachelor sia inferiore rispetto a coloro che dispongono anche di un Master. Ciò ha come conseguenza una durata complessiva della formazione accademica e abilitante di ca. 7 anni. Si ritiene dunque necessario rendere trasparenti e chiaramente definiti i criteri di selezione, pubblicando la graduatoria finale e la lista degli ammessi, stilate secondo i seguenti parametri:

  • Per ogni materia, i candidati sono ordinati nella graduatoria finale in base al punteggio complessivo ottenuto, considerando soltanto coloro che non hanno riportato nemmeno un punteggio zero nella seconda parte dell’esame scritto e nell’esame orale.
  • La graduatoria finale privilegia dapprima i candidati che soddisfano criteri preferenziali specifici (come l’aver seguito integralmente le scuole dell’obbligo e/o del livello secondario II in istituti pubblici o privati parificati svizzeri) e successivamente gli altri candidati secondo il punteggio ottenuto.
  • In caso di parità, prevalgono i candidati con un punteggio globale più elevato, seguito da chi ha ottenuto il punteggio più alto nella somma dei punti nell’esame orale relativo all’orientamento alla professione docente e alla capacità relazionale, e infine chi ha il punteggio più alto considerando la seconda parte dell’esame scritto e dell’esame orale nell’ambito della capacità di relazionare il sapere accademico con la dimensione disciplinare scolastica.
  • La lista degli ammessi per ciascuna materia, con l’indicazione di chi ha solo il Bachelor e chi ha anche il Master, viene quindi redatta assegnando i posti disponibili secondo questa graduatoria finale. Eventuali liste d’attesa sono gestite dal segretariato, consentendo la sostituzione dei candidati ammessi che rinunciano.

Infatti, un sistema come quello attuale promuove l’entrata nel mondo del lavoro di questi giovani docenti in modalità del tutto precaria (incarico), una volta superati i 26 anni.

Una situazione decisamente in piena contraddizione con uno dei più importanti obiettivi sociali che è quello di consentire ai nostri giovani di poter entrare al più presto nel mondo del lavoro, ed in particolare di potersi confrontare con l’attività reale d’insegnamento in aula, percependo uno stipendio adeguato, e con la garanzia di essere supportato ed accompagnato professionalmente sul posto di lavoro e non in un contesto di “tutela” – peraltro poco motivante.

3. Trasformazione del DFA: da facilitatore dell’insegnamento a istituzione sempre più ampia.

L’evoluzione del DFA mal si concilia con un certo pragmatismo operativo; quest’ultimo è un concetto concreto e utile, da preferire rispetto a una tendenza e ad alcune derive. La sensazione, piuttosto comprovata, è che l’offerta di formazione per le SME e le SMS faccia un po’ astrazione dalle esigenze concrete dirette e numeriche che si giustificano sul territorio. Un approccio diverso permetterebbe dunque un ricambio del corpo insegnante e una formazione continua naturale, armoniosa e solida.

L’attuale sistema inoltre apre inevitabilmente il fianco a dinamiche distorte: per esempio, il DFA ha progressivamente inserito tra i suoi quadri docenti ed esperti persone provenienti dall’Italia, certamente qualificate, ma che sollevano un quesito scomodo: è una necessità per il miglioramento della formazione ticinese o è una dinamica di assunzione autoreferenziale, che consolida la “macchina” DFA più che colmare lacune cantonali?

Alla luce di questi elementi di riflessione, chiediamo al lodevole Consiglio di Stato:

  1. di proporre, tenendo conto delle impostazioni presenti negli altri cantoni, un nuovo modello di struttura e organizzazione dei percorsi abilitativi per la formazione di docente nel medio e nel medio superiore compatibile con i regolamenti emanati dalla CDPE e i cui titoli siano riconosciuti sul piano nazionale. (con la riserva di cui al punto 11).

Questo modello deve considerare:

  1. per il settore medio non penalizzare nei criteri di ammissione al DFA la possibilità di accedere all’abilitazione anche con il solo bachelor conseguito presso una scuola universitaria a cui farebbe seguito l’abilitazione a livello di master presso il DFA;
  2. la richiesta per il settore medio di un’abilitazione obbligatoria in almeno due materie;
  3. la possibilità di conseguire un’abilitazione combinata – come avviene nella Svizzera francese – per il settore medio e medio superiore in una o due materie;
  4. dei percorsi abilitativi offrendo – secondo disponibilità – la possibilità di svolgere   dell’attività d’insegnamento (salvo insegnamento nel medio superiore) oppure di distribuire la formazione abilitante su più semestri per coloro che svolgono contemporaneamente un’altra professione e vogliono prepararsi all’insegnamento;
  5. lo sviluppo di una maggiore interconnessione con il sistema abilitante per il settore professionale, che rappresenta un valore aggiunto e una valorizzazione reciproca per i giovani;
  6. la possibilità, anche in ottica di razionalizzazione, di riunire in un unico luogo (per es. a Locarno) gli istituti che si occupano della formazione dei docenti, ovvero il DFA e la Scuola universitaria federale per la formazione professionale (SUFFP) con sede a Lugano;
  7. valutare la possibilità che il DFA – d’intesa con gli altri istituti abilitandi – collabori, secondo modalità da definire, all’abilitazione anche dei futuri docenti di italiano (settore medio e medio superiore) degli altri cantoni. Ciò contribuirebbe a promuovere l’insegnamento della lingua e cultura italiana al di fuori della Svizzera italiana.

Tenendo conto di queste indicazioni:

  1. confermare per il medio superiore l’accesso all’abilitazione per chi ha conseguito un titolo accademico di secondo livello (master), nel rispetto delle normative in vigore: per il settore medio invece il possesso di un master non è obbligatorio ed è sufficiente un bachelor;
  2. valutare la possibilità di accordi con università svizzere (USI compresa) e altri istituti di abilitazione per percorsi integrati di formazione accademica e abilitante (assicurati anche dal DFA) rivolti agli studenti ticinesi;
  3. valutare, per situazioni eccezionali , l’ipotesi di “un’abilitazione cantonale” valida per il settore medio solo in Ticino, compatibilmente con l’art. 47a della Legge della scuola e nella consapevolezza delle limitazioni di mobilità professionale che essa comporterebbe;
  4. nel calcolo del fabbisogno docenti per le scuole ticinesi il Dipartimento dovrebbe tener conto non solo dei futuri abilitandi del DFA, ma anche di coloro che hanno conseguito l’abilitazione fuori Cantone o che dispongono del riconoscimento rilasciato dalla CDPE e che concorrono a un posto d’insegnamento in Ticino;
  5. tenuto conto dell’evoluzione demografica si chiede al Dipartimento di elaborare uno studio previsionale del probabile fabbisogno di docenti nelle scuole ticinesi. Lo studio sarà poi da aggiornare costantemente in modo da informare coloro che intendessero avviarsi ad una formazione di docente.

Paolo Ortelli per il Gruppo PLR, 25 maggio 2025

Atti parlamentari

INTERPELLANZA (Urgente)

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MOZIONE

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INTERPELLANZA

La presente interpellanza è presentata con carattere d’urgenza in quanto i fatti segnalati — se confermati — mettono in luce gravi carenze nella qualità e sicurezza delle cure in un settore specialistico dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), con potenziali conseguenze per la salute dei pazienti e per la fiducia della cittadinanza nel sistema sanitario pubblico. In data odierna l’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) ha pubblicato un comunicato stampa in cui, pur prendendo le distanze dai contenuti del cosiddetto “rapporto di sicurezza”, conferma indirettamente l’esistenza del documento, nonché l’apertura di un’analisi interna. Il comunicato solleva interrogativi ulteriori: anziché chiarire i contenuti e affrontare i nodi sollevati, si concentra sull’autore del rapporto, mettendone in discussione le modalità operative e l’uso delle risorse aziendali. Non si esclude che tale approccio rischi di oscurare la sostanza delle segnalazioni e disincentivare future denunce in ambito sanitario.

Riteniamo dunque necessario e urgente un chiarimento istituzionale, al di là delle comunicazioni dell’EOC, per garantire che la gestione delle criticità cliniche, la sicurezza dei pazienti e la protezione dei segnalanti siano trattate con trasparenza, tempestività e indipendenza. È inoltre fondamentale accertare se esistano rischi sistemici anche in altri ambiti clinici e se gli strumenti oggi disponibili siano adeguati ad assicurare una reale cultura della qualità e della responsabilità nelle cure.

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